Antonio Gramsci. L'attitudine dialogica di un grande classico
Antonio Gramsci. L’attitudine dialogica di un grande classico
A. Gramsci, Lettere dal carcere, coll. I millenni, a cura e con introduzione di F. Giasi, Torino, Einaudi, 2020, pp. CXIV+1257, euro 90
Recensione di Guido Liguori
Le lettere di Gramsci tornano in libreria, in una nuova edizione nella collana I millenni (A. Gramsci, Lettere dal carcere, a cura e con introduzione di F. Giasi, Torino, Einaudi, 2020, pp. CXIV+1257, euro 90). Una edizione pregevole per un «capolavoro della letteratura epistolare» – scrive il curatore Francesco Giasi – che i carteggi dell’autore «e l’intera sua corrispondenza non paiono destinate a eclissare». È l’affermazione fondamentale da cui partire per comprendere l’importanza dell’evento. Sembrava, pochi lustri orsono, che le Lettere dal carcere come opera a sé fossero destinate a passare in secondo piano, a fronte dei carteggi dell’autore – di cui si era iniziata la pubblicazione con quello con la cognata Tatiana, curato da Natoli e Daniele nel 1997. Previsione fallace: perché se i carteggi rappresentano indubbiamente un passaggio fondamentale per gli studiosi di Gramsci, la raccolta delle lettere del comunista sardo dopo l’arresto, avvenuto l’8 novembre 1926, conservano, e credo conserveranno sempre, la loro autonoma importanza: quella di un grande classico del Novecento, letterario ed etico-politico a un tempo.
Come è abbastanza noto, le Lettere uscirono in volume per la prima volta nel 1947 e servirono da apripista per l’affermarsi del loro autore nella cultura italiana, anche al di là delle file comuniste. A tale esito concorse l’attribuzione del Premio Viareggio, istituito dall’ex-ordinovista Leonida Rèpaci e con in giuria due intellettuali di grande prestigio, organici al Pci: Concetto Marchesi e Giacomo Debenedetti (non De Benedetti, come purtroppo si legge, con involontario omaggio all’attualità). Questa edizione, dichiaratamente una «scelta», comprendeva 218 missive. Molte ancora non erano state ritrovate, altre non furono pubblicate per motivi di riservatezza, contenendo affermazioni delicate su familiari e conoscenti ancora in vita. Alcuni passi vennero anche omessi per opportunità politica, visto il difficile tentativo togliattiano di mettere in circuito Gramsci senza rompere immediatamente con il marxismo-leninismo sovietico, dotando però il partito comunista di una cultura politica ben diversa da quella dell’ortodossia stalinista.
Come è abbastanza noto, le Lettere uscirono in volume per la prima volta nel 1947 e servirono da apripista per l’affermarsi del loro autore nella cultura italiana, anche al di là delle file comuniste. A tale esito concorse l’attribuzione del Premio Viareggio, istituito dall’ex-ordinovista Leonida Rèpaci e con in giuria due intellettuali di grande prestigio, organici al Pci: Concetto Marchesi e Giacomo Debenedetti (non De Benedetti, come purtroppo si legge, con involontario omaggio all’attualità). Questa edizione, dichiaratamente una «scelta», comprendeva 218 missive. Molte ancora non erano state ritrovate, altre non furono pubblicate per motivi di riservatezza, contenendo affermazioni delicate su familiari e conoscenti ancora in vita. Alcuni passi vennero anche omessi per opportunità politica, visto il difficile tentativo togliattiano di mettere in circuito Gramsci senza rompere immediatamente con il marxismo-leninismo sovietico, dotando però il partito comunista di una cultura politica ben diversa da quella dell’ortodossia stalinista.
Solo per limitarci alle edizioni principali, lasciando da parte le pubblicazioni su riviste e quotidiani, le raccolte a tema (lettere a Giulia, lettere ai figli, lettere a Sraffa...) e le antologie minori di missive che venivano presentate periodicamente, con sempre nuove introduzioni, sotto il titolo generico di Lettere dal carcere, va segnalata una edizione riservata ai lettori dell’Unità uscita in due volumi nel 1988, che riproduceva l’edizione Caprioglio-Fubini senza note ma con l’aggiunta di 28 lettere inedite e di altre prima pubblicate qui e là in ordine sparso. Per arrivare quindi alla bella edizione Sellerio del 1996, curata da Antonio A. Santucci: 478 lettere, cinquanta in più rispetto al ’65. Prima di essa, l’edizione più ampia (con 17 inediti), e pregevole, era addirittura… in lingua inglese, curata da Frank Rosengarten per la Columbia University Press nel 1994. Un paradosso evidente, di cui porta colpa anche la ritrosia dell’Einaudi a mettere in cantiere il necessario, corposo aggiornamento. Negli anni ’90 del resto Gramsci era quasi considerato un «cane morto», in una situazione di liberalismo trionfante, anche nella sinistra italiana.
Ma soprattutto è rilevante e in gran parte nuovo l’apparato delle note di cui ogni lettera è fornita. Rispetto alle precedenti edizioni, molto di più oggi sappiamo sulle vicende di Gramsci negli anni successivi all’arresto, grazie ai ritrovamenti effettuati negli Archivi di Mosca, allo scandaglio negli archivi italiani (con la collaborazione di Eleonora Lattanzi e Delia Miceli) e nelle carte Sraffa (con il competente ausilio di Nerio Naldi), alle molte notizie ora disponibili sulla famiglia russa e su quella sarda (per cui è valsa la consulenza di Antonio Gramsci jr. e di Luca Paulesu), all’approfondimento delle vicende interne al Pci e all’Internazionale, nonché dei tentativi di liberazione per via diplomatica, ecc. A cui si aggiunge l’uso utilissimo che Giasi fa – sempre in nota – di brani di lettere scritte a Gramsci dai suoi corrispondenti, che aiutano a comprenderne le affermazioni e le risposte.
Le lettere scritte a Gramsci sono tanto più utili in quanto egli è – come amava ricordare Giorgio Baratta – un autore «dialogico», che per sua stessa ammissione aveva bisogno di interlocutori, anche e forse soprattutto polemici. Le lettere sono per lui il surrogato del compagno, dell’amico, del familiare con cui dialogare, anche se «in remoto», si direbbe oggi. Ma sono anche lettere spesso da decifrare, con messaggi nascosti destinati al suo partito. Non resta che tornare a leggerle, le Lettere di Gramsci, in questa nuova e pregevole edizione, con ammirazione immutata per il comunista sardo e come nuovo sprone alla conoscenza della sua storia e del suo pensiero.
Guido Liguori, il manifesto, 17 ottobre 2020